CONVIVIO
La cena, momento carico di significati, non è una delle tante tra amici. Lo si intuisce dall’atmosfera sospesa nell’aria, piena di interrogativi e di aspettative. La curiosità e inquietudine sono negli sguardi degli invitati. Tutti sanno di partecipare ad un avvenimento e di essere, per una sera, partecipi di un’opera. Sanno che questa cena è l’inizio di qualcosa di nuovo. La cena è l’opera: l’arte consiste nel creare un’atmosfera di semplice e piacevole rilassatezza di fronte al cibo e a coloro che hanno scelto.
È l’arte del convivio.
L’appagamento ed il piacere dei sensi diventano i veicoli per uno spontaneo e libero dialogo tra gli invitati, per la condivisione di un momento magico e rituale, peraltro consueto nella vita di ciascuno. La preziosa partecipazione degli invitati all’opera consiste, quindi, nella condivisione di quei rari e suggestivi momenti propri dell’essere uomo, in cui si raggiunge una comunicazione vibrante sui fili dei sensi. L’arte della cena consiste nel far sì che i partecipanti tornino alle loro case dimentichi di una qualche strana opera di fossilizzazione in vetro. Spetterà all’artista raccogliere i resti di quei momenti, fermarli in una nova opera per testimoniare quello che è stato e farne artefatti del terzo millennio.
L’ATTIMO
L’opera è il gioco dialettico di presente passato e futuro, sintetizzato nella rappresentazione poetica dell’attimo, in tutta la sua fragilità, come polvere, ma di vetro.
Il presente, ciò che di più quotidiano e consueto avviene nella nostra vita, diventa avvenimento. Ciò è reso possibile anche grazie al fatto artistico che, con un processo di fossilizzazione, trasforma l’accaduto in passato. L’opera diventa immagine di quanto avvenne e ci chiede di ricordare, attraverso fragili tracce consumate dal tempo.
Grazie al ricordo il passato entra nell’eternità. Lo spettatore è partecipe attivo del processo evocativo, è il testimone dell’attimo sospeso, dell’avvenimento irripetibile, che esiste solo grazie a lui che ne sta osservando i resti; egli diventa così il futuro dell’opera e di quanto accadde.
Pompei, certo. Ma anche ciò che resta…
Pompei, certo. Ma anche ciò che resta di Ninive, di Palmira, di Ur, di Samarra. Polvere, rottami, tracce appena riconoscibili di oggetti ogni giorno usati, ripuliti, tenuti con cura. E tavole da pranzo coperte di rottami, di polvere. Ed erano il desco che ogni giorno riuniva i familiari, gli amici.
E altro: anche fuori da queste malinconie, vive di vita creativa, nuovamente nostra, l’inattesa combinazione di forme, di volumi, anche in frammenti, ma così recuperati e prestati a nuovo senso, a nuova funzione: che è quella di essere visti e guardati, con attenzione, con sorpresa, mormorando a chi ti sta vicino.
a Joan, da Eugenio Riccòmini
Ottobre 2016
Cenaè 22
Vetro e Lirica
Castello Sforzesco Milano